Oggi parliamo della regola di fine picco, un bias che può essere deleterio per le nostre decisioni quotidiane. Se non avete ben presente cosa sono i bias o se invece volete conoscere quelli principali, potete consultare l’elenco in questo articolo: Tutti i tipi di euristiche e bias cognitivi. Vi consiglio di dargli almeno un’occhiata. Sono presenti numerosi bias da conoscere ma soprattutto una diversa chiave di lettura, dato che spesso vengono etichettati in modo negativo.
Picchi emotivi
La regola di fine picco è quel pattern mentale che imprime i ricordi servendosi delle emozioni. Se ci facciamo caso, i ricordi più vividi sono spesso connessi a forti emozioni. Quella volta che abbiamo provato una forte paura, o quella volta che abbiamo provato un grande piacere. Esperienze traumatiche, con forti dolori, oppure di intensa euforia o d’amore ricevuto o donato.
Sono quei picchi emotivi che fanno parte della vita di tutti. Pensandoci bene sono esperienze che non capitano tutti i giorni, anzi, sono abbastanza rare, tuttavia è ciò che ricordiamo. Tutto il resto: azioni ripetitive, faccende di routine, momenti noiosi, vengono dimenticati in fretta. Questo per dire che, quando pensiamo a un periodo del nostro passato, non lo ricordiamo come è stato veramente, ma lo rappresentiamo affidandoci maggiormente al ricordo di questi picchi. Non è che lo decidiamo consapevolmente, è ciò che capita in modo inconscio.
Ma questa non è una novità, con una breve ricerca sul web queste informazioni le potevamo già conoscere. Voglio invece parlare delle conseguenze che questo modo illusorio di ricordare può influire sulle scelte che prendiamo per il nostro futuro. E in questo caso non c’è miglior modo che usare degli esempi.
La ragazza che si innamora sempre dei soliti uomini
Prendiamo in causa Anastasia (primo nome che mi è venuto in mente… Non è vero, volevo un nome che non mi facesse pensare a nessun conoscente). Anastasia è felicissima, tutto il mondo è colorato, si sente viva come non mai, ha le farfalle nello stomaco… Sì, Anastasia si trova nel primo mese di relazione con la sua nuova fiamma. Achille, un tipo Alfa sempre in viaggio per lavoro, ricoperto di tatuaggi e bracciali etnici. Fa immersioni subacquee nel tempo libero, e nell’altro tempo libero vola col parapendio. E quando non è occupato a solcare le nubi si dedica a recensire serie tv nel suo canale Youtube. E quando ha qualche ritaglio di tempo fa il sommelier di vini. Tutto questo, almeno a dire del fidanzato, mentre si occupa di mantenere anche la sua vita sociale, i rapporti con amici e conoscenti.
Anastasia è totalmente presa dal tizio, è bello, curato, abbronzato, depilato, fisicato, occhialutodasolato, sempre incamiciato e profumato. Però, però, qualche volta, sembra esserci qualcosa che non quadra, alcuni pensieri nascosti del passato emergono, ma lei li ributta giù. Faceva così anche nei primi appuntamenti con Achille. D’altronde ora è felice. Felice come quelle volte in cui si era innamorata in precedenza. Si ricorda molto bene di come si sentiva quella volta che conobbe il suo ex, un certo Leonida, o quella volta prima, il suo ex ex, un certo Marco Dalle Marche che di secondo nome faceva Mirco con la kappa, dove Dalle Marche era il cognome e non la sua provenienza regionale. (No, vabbè, così è troppo, cancellate quest’ultima parte).
Insomma, sto cercando di dire che le relazioni amorose di Anastasia sono manovrate da questo bias, dalla regola di fine picco. Quando sceglie gli uomini con cui intraprendere una relazione lo fa affidandosi esclusivamente al ricordo degli innamoramenti passati, escludendo ogni ragionamento razionale. Cosa che potrebbe suggerigli: “Hey, attenta, questo è il solito narcisista. Guarda, è come Leonida, andrà a finire allo stesso modo”. Ma il ricordo dell’innamoramento oltre che a essere più forte è anche più desiderato. Lei ricorda più i primi mesi coi suoi ex piuttosto che i periodi noiosi dopo l’innamoramento, e le litigate degli ultimi mesi.
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Non è tutto oro ciò che…
Oppure parliamo di lavoro. Magari a qualche lettore è capitato di riceve una proposta allettante. Diventare capoturno della propria azienda, o responsabile di settore, o del personale o cose del genere. Ecco, mettiamo caso che a Walter gli venga fatta una proposta simile. Walter sta sbavando mentalmente. Sono 3000 euro di paga più vari premi e bonus. Trasferte pagate, auto e telefono aziendale. Eppure c’è qualcosa, qualche pensiero che arriva dal passato, ma Walter lo ributta giù. In passato ha già ricoperto dei ruoli simili, e si ricorda di come era felice quando acquistò la sua prima casa, e la seconda al mare. L’odore di nuovo del suo Suv, e Birillo, l’Husky che correva in giardino. Ma Walter ha cancellato tutte le ore che passava nel traffico e nell’ufficio. E tutte le ore di straordinario, e le trasferte fuori casa. Ora non sta pensando ai passati attacchi di panico e del fatto che non ha mai portato a spasso Birillo, nemmeno una volta. O del fatto che vedeva moglie e figlia soltanto un giorno a settimana. Che passava regolarmente al telefono.
Insomma, anche in questo caso, Walter accetterà l’offerta perché preda della regola di fine picco.
La regola di fine picco nei viaggi
Oppure, a chi non è successo di essere super eccitato quando è appena partito per un viaggio? Ma anche questa volta, lo sfortunato malcapitato di nome Alfredo, uno scapolo di trentadue anni, decide di fare un viaggio di gruppo organizzato. È sua abitudine, ogni quattro, cinque anni fare questo tipo di viaggi. Anche in questo caso non sarà certo la noia dei vari spostamenti su treni, taxi e autobus a essere ricordata. O no di certo, anche se, contando pure l’aereo, questi spostamenti hanno preso ben il 40% di tempo della sua vacanza. E non ricorderà certo di tutta la frenesia nel dover essere sempre in linea col programma. Eccoci al museo, allora tempo 20 minuti e ci vediamo all’ingresso. Via dentro, qualche foto che andranno nell’archivio assieme a quelle degli anni scorsi, e subito fuori. Pronti per la prossima meta. Via di corsa e autobus. Tre quarti d’ora in piedi con le ascelle che si desquamano. Ed ora treno, un’altra ora di tedio. Poi dieci chilometri a piedi, e veloce, sia mai che non riusciamo a fare qualche foto a quel monumento o qualche selfie in quel posto famoso.
Alfredo si ricorderà e parlerà solo dei suoi momenti epici, delle cose belle viste, delle cose buone mangiate. Di quelle poche e intense emozioni che, se analizzate con sincerità e consapevolezza, fanno parte in media del 2% sul totale dell’esperienza. La prossima volta che deciderà di fare questo tipo di viaggio non si renderà conto che il gioco non vale la candela, sarà fuorviato dal bias. (Sia chiaro che questo è un esempio, non dico che ogni viaggio debba essere così. Ma è proprio ciò che rappresenta al meglio il bias di fine picco).
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Equilibrio psicologico
Questo bias offusca ragionamenti maggiormente razionali e obiettivi. Quelli che tengono conto della media, della statistica. Quelli che giudicano il tempo complessivo di una qualsiasi esperienza, e non solo gli istanti euforici o dolorosi. Come abbiamo visto negli esempi, questi ricordi ci fanno fare errori di valutazione che già abbiamo commesso in passato. È vero che si tratta di un bias innato, non credo che si tratti di un comportamento mentale appreso dal luogo e dallo stile di vita. Questo perché abbiamo la nostra parte razionale a controbilanciare la questione. Tuttavia, credo che uno stile di vita, come ad esempio quello moderno sia causa di un attecchimento del pensiero razionale di buona parte degli individui. E allora sì che la regola di fine picco prende il sopravvento.
È sempre la solita questione dell’equilibrio. Mi viene da pensare, per fare un’analogia, alla microflora batterica. Non è che un determinato batterio o fungo che sia ci faccia male alla salute. Quando, per qualche atteggiamento errato (alimentazione, stress ecc.) una specifica popolazione di batteri viene decimata, allora cominciano i problemi. A cagione di questa decimazione prendono il sopravvento altri tipi di batteri o di funghi o di virus, e l’equilibrio che manteneva una buona salute viene compromesso. È ciò che in medicina viene definita disbiosi. Questo succede anche nella nostra mente. Se le varie parti non sono in equilibrio, abbiamo una prevalenza anomala del fattore emotivo a dispetto di quello razionale come in questo caso.
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Il perché di questo bias
Forse è sempre per una questione di sopravvivenza che siamo strutturati a ricordare ciò che ci emoziona di più. Pensiamo alle grandi paure, la prossima volta quel ricordo potrebbe salvarci la vita. Oppure pensiamo alle abilità o alle competenze. Se ci fate caso, i progressi più veloci e significativi che facciamo, li abbiamo sempre quando ci emozioniamo durante una qualsiasi sessione o allenamento. Non certo quando facciamo delle azioni per abitudine e controvoglia.
Eccoci alla fine. Ora che conoscete meglio anche questi aspetti della regola di fine picco non dimenticate che ci sono molti altri bias che aspettano di essere portati alla vostra consapevolezza. Dato che la natura dei bias è proprio quella di nascondersi nelle abitudini inconsce. Vi ricordo nuovamente che potete studiarli nel grande articolo sui bias menzionato all’inizio. Alla prossima.
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Potente!