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Qual è il senso della vita? Destino VS Libero arbitrio

Qual è il senso della vita? È sensato chiederselo? C’è veramente un senso? È tutto predestinato o siamo noi a poter scegliere il nostro avvenire? È bianco o nero, oppure grigio? Nel corso di questo scritto troverai molte risposte a questa domanda, o forse nessuna.

Prima di chiederti qual è il senso della vita… hai vissuto veramente?

Perché chiedersi qual è il senso della vita senza prima averla vissuta pienamente? Ho già dato la mia interpretazione a questa domanda in alcuni articoli del blog, ma sempre a piccoli pezzettini. In questo post cercherò di fare del tutto chiarezza, dedicandomi interamente a questo quesito.

Perché l’uomo si ostina a cercare il senso della vita quando ogni cosa nella vita ha un senso? Vivere ogni cosa è il senso della vita. Ecco, secondo me questo è il senso, se un senso dobbiamo per forza trovare. Nel puro atto di vivere e di apprezzare il dono di esistere non c’è senso, se non appunto quello del gioire di quest’incredibile disegno che è il tutto.

Desidero però servirmi di questo articolo per tentare di giungere a una conclusione diversa da questa.
Per quale motivo lo faccio? Perché non mi piace rimanere fermo, perché non mi accontento di “un solo colore”, perché mi piace mettere in discussione le mie credenze di tanto in tanto. E, notizia da non sottovalutare, non è assolutamente detto che una diversa conclusione vada a sostituire quella presente. Anzi, potrebbe anche rafforzarla o ampliarla in nuove diramazioni. Prendiamoci per mano e vediamo assieme cosa possiamo scoprire in questa passeggiata tra le parole.

Esiste il libero arbitrio o siamo solo delle marionette?

Ho in mente di cavalcare l’argomento (il senso della vita) seguendo alcune correnti di pensiero che provano a rispondere alla domanda. Nel particolare, la visione fatalista e quella che mette al centro della vita la scelta consapevole. Per dirla più semplicemente: destino VS libero arbitrio.

Voglio ora portarti dentro il laboratorio di Benjamin Libet. Se hai resistito all’impulso di cercarlo su Google, ti svelo subito la sua identità. Libet era un neurofisiologo che intorno agli anni settanta condusse alcuni esperimenti molto interessanti. Siamo qua per fare la conoscenza di uno in particolare. Non farti spaventare dal linguaggio scientifico, armandosi di pazienza e concentrazione chiunque può capire il senso del discorso. Questi estratti sono presi dal libro Le neuroscienze: dalla fisiologia alla clinica.

Qual è il senso della vita? - Gli studi di Libet

Gli studi di Libet

La sua prima prima scoperta fu che la stimolazione subliminale (impulsi da 0,1 a 0,5 ms ripetuti con una frequenza da 20 a 60 al secondo) della corteccia cerebrale o di altre stazioni della via somatosensoriale deve durare almeno 0,5 s affinché un soggetto diventi consapevole dello stimolo. Quando la stimolazione viene ridotta sotto 0,5 s non si ha la sensazione consapevole. Ciò significa che la consapevolezza del mondo sensoriale è sostanzialmente ritardata di circa 0,5 s rispetto al suo effettivo verificarsi. Questo ritardo sembra dipendere dal tempo di elaborazione dovuto all’attività neuronale collegata alla consapevolezza. Gli stimoli che danno luogo ad attivazioni inferiori a 0,5 s possono essere rilevati soltanto a un livello inconsapevole.

In seguito Libet cercò di rispondere alla domanda: quando appare la volontà cosciente di agire? La possibilità di studiare sperimentalmente tale quesito nacque grazie ad una scoperta di H. Kornhuber e L. Deecke. Questi ricercatori dimostrarono che ogni atto volontario è preceduto da un’onda elettrica negativa registrata sulla sommità della testa. Il cambiamento elettrico che precede l’atto volontario inizia circa 600 – 800 ms prima dell’azione volontaria e viene detto potenziale di preparazione (PP). In seguito, Libet chiese ai soggetti in cui veniva registrato questo potenziale di fare flessioni improvvise del polso ogni volta che ne avevano voglia. I soggetti dovevano, inoltre, rilevare su di un orologio a raggi catodici la prima consapevolezza della loro intenzione o desiderio di muoversi. Questo tempo cronometrico è stato chiamato: tempo W.

I tempi W precedevano di più di 200 ms l’azione motoria, con una deviazione standard di più o meno 20 ms. Questi esperimenti hanno quindi mostrato che un soggetto inizia un “movimento volontario” circa 300 – 400 ms prima di esserne consapevole e circa 600 ms prima che il movimento si realizzi. I soggetti diventano consapevoli del desiderio (W) di agire soltanto 400 ms dopo l’insorgenza dei potenziali di preparazione (PP). Ciò significa, secondo Libet, che ogni processo volontario viene iniziato in maniera inconsapevole.

La scienza che può avvalorare l’ipotesi di destino

Queste parole, pur venendo da un contesto scientifico, sembrerebbero avvalorare una tesi simile a quella fatalista. Anche se si parla di volontà cosciente, viene dimostrato che in fondo non siamo noi a decidere. Se ogni processo volontario viene iniziato in maniera inconsapevole chi è a scegliere? L’inconscio? Il destino? Ma cosa è depositato all’interno del nostro inconscio? Di sicuro la nostra storia passata, ma anche quella dei nostri familiari, della nostra cultura mediterranea ad esempio, la storia della religione e via dicendo. Mi riferisco all’inconscio collettivo, assunto che contiene un oceano di informazioni, così numerose e così intrecciate tra loro che si potrebbe giungere facilmente nel cercare di sbrogliare il tutto con la parola destino. Ma gli esperimenti scientifici non si fermarono certo a quel punto. Continuiamo con la lettura.

A questo punto ci si può chiedere: quale ruolo può svolgere l’attività cosciente?
Poiché l’attività cosciente appare 150 – 200 ms prima dell’azione motoria, ciò permette di influenzare o controllare il risultato finale del processo volontario. In questo intervallo di tempo, di 200 ms, la volontà cosciente, secondo Libet, può permettere al movimento di realizzarsi oppure può bloccarlo. Un soggetto può quindi mettere un veto quando l’azione progettata viene considerata inaccettabile o non in accordo coi valori dell’individuo. Per Libet, il libero arbitrio cosciente non da inizio alle nostre azioni volontarie. Può, invece, controllare il risultato o l’esecuzione attuale dell’azione. Può consentire all’azione di continuare, o può metterle il veto, in modo da non farla accadere.

So che l’argomento non è proprio semplice da assimilare in pochi minuti. Per fare chiarezza cerco di ricapitolare quanto detto. Tralasciando la prima parte (seppur affascinante): per elaborare la realtà ed essere coscienti di essa ci mettiamo 0,5 s. focalizziamoci sulla domanda: quando appare la volontà cosciente di agire?

Per capirci meglio

Gli esperimenti hanno dimostrato che prima dell’azione volontaria avviene un cambiamento elettrico nel cervello, e che si diventa consapevoli del desiderio di agire solo dopo quel cambiamento. Ciò significa che ogni azione viene attuata in modo inconsapevole. In un certo senso non siamo noi a scegliere le nostre azioni ma la parte più nascosta di noi: l’inconscio. Si tratta allora di un automatismo. Però, dato che ci accorgiamo del desiderio di agire prima dell’azione, possiamo scegliere di lasciare che l’azione si svolga o interromperla.

Per Libet quindi, il libero arbitrio cosciente non da inizio alle nostre azioni volontarie, ma può solo decidere se eseguirle o stopparle. A qualcuno potrà sembrare che la questione cambi di poco da ciò che si pensa normalmente, ma la morale è molto più sottile.

Politica e libero arbitrio

Mi viene in mente un esempio che riguarda la politica. Facendo un parallelismo tra l’argomento e il mondo politico, voglio far vedere che il risultato può essere molto diverso. Ai nostri giorni qualcuno, non si sa bene chi, sceglie alcuni individui e li mette in politica. Li candida a futuri amministratori del paese. Poi sta a noi decidere chi andrà al governo e chi no (per chi crede a questa storia). Pensa invece se fossimo direttamente noi a decidere fin dal principio chi può candidarsi e poi chi può essere eletto a governare. Il risultato sarebbe molto diverso, non credi?

Ecco, la stessa cosa avviene nel scegliere l’azione e in seguito decidere se deve essere compiuta oppure no. Se siamo noi a decidere le azioni consapevolmente, queste possono essere molto diverse da quelle che invece attuiamo inconsapevolmente. In pratica, per Libet, questo processo funziona come nel mio esempio sulla politica attuale.

Prima di proseguire premetto che mi trovo d’accordo con le spiegazioni di Libet, anche se non totalmente. Vedremo nel corso dell’articolo il perché. Da ora in poi perciò prenderemo per buone le sue conclusioni.
Adesso che abbiamo capito meglio questo esperimento voglio riproporre una domanda, cruciale a dir poco.
Se l’azione non parte da noi, dalla nostra volontà, chi la genera?

Non occorre essere dei geni per capire e dare una risposta. Spesso ripeto che basta solo un’attenta osservazione. Le azioni degli esseri umani vengono decise dall’ambiente in cui vivono. Se credi che la parola “sistema” serva a descrivere un’entità astratta ti sbagli di grosso. Il sistema è vivo, e decide per noi. Può sembrare una realtà da romanzo distopico ma invece è la realtà vera del mondo umano.

Qual è il senso della vita? - Ambiente

Qual è il senso della vita in un ambiente che sceglie al posto nostro?

E sopratutto: qual è il senso della vita vita in un ambiente che poco si adatta con la nostra specie? Se siamo stati noi a doverlo adattare alle nostre esigenze un minimo di dubbio dovrebbe bussare alle nostre porte non credi?

Siamo giunti vicino alla metà di questo articolo, per capire che la vita degli individui è un automatismo inconsapevole che viene deciso dall’ambiente. Se non credi a questo puoi prendere in causa la tua stessa vita. La mattina ti alzi dal letto perché lo vuoi o perché devi farlo? Vai a fare un lavoro contro voglia perché lo vuoi o perché devi? Esci e vai al bar perché è la tua massima aspirazione o perché è l’unica opzione che ti resta in un luogo pressoché uniforme, standard e poco stimolante? Mangi perché hai fame o perché sei stressato dalle cose che hai dovuto fare? Dagli sforzi, dalle piccole violenze verso te stesso… Capisci? E la lista potrebbe continuare.
In realtà non facciamo quello che veramente desideriamo ma quello che serve alla vita del sistema.

Come cambiare le azioni?

Ma allora qual è il senso della vita? Essere forse un ingranaggio, un criceto che corre dietro al miraggio di una scarcerazione sempre troppo lontana? Topi da laboratorio, marionette? Venire al mondo per non provare mai la vera gioia di vivere se non nell’infanzia?

Se non siamo noi a scegliere le nostre azioni ci ritroviamo a percorrere un sentiero che non sentiamo nostro. E questo lo sappiamo bene. Se invece abbiamo cambiato direzione, questo sentimento lo possiamo ricordare nel nostro passato. Sono tutti insoddisfatti, pochi si salvano, è inutile negarlo. Col trascorrere dei secoli la civiltà ha estratto dall’uomo la sua umanità, e lo ha confinato in una comoda gabbia. Quindi, l’unico modo per essere felici e dare un senso alla vita è quello di scegliere ciò che facciamo, non assolvere ciò che l’ambiente sceglie per noi.

Per quel che ne so esiste un solo modo per cambiare ciò che facciamo: cambiare il proprio ambiente.
Formule magiche che sono in auge in certi ambiti non danno risultati: cambia i tuoi pensieri e cambieranno le tue azioni. Peccato che i tuoi pensieri sono frutto di ciò che quotidianamente fai nell’ambiente in cui vivi.

Ti sembra una soluzione estrema? Potrai trovare tutti gli stratagemmi che vuoi, usare tecniche copia e incolla, meditazioni ecc. fino a quando vivi in un luogo inumano, è come gettare l’acqua fuori dalla barca che affonda con un cucchiaio.

Nel cambiare ambiente cambiamo anche noi, perché habitat e essere vivente non sono due entità separate. Così cambiano le azioni, e ciò che facciamo, cambia nuovamente ciò che siamo, in un divenire che può andare in una direzione o in quella inversa. Tu quale direzione scegli?

Cosa significa cambiare ambiente?

Con cambiare ambiente intendo il ritorno a un luogo naturale che si sposa con le peculiarità umane. Oppure cercare di trasformarlo in un luogo più possibile vicino all’habitat congeniale alla nostra specie.

Non tutti però possono andare a vivere dall’oggi al domani in un ambiente incontaminato, la maggioranza ha ceduto la libertà di poter decidere come vivere in cambio del surrogato (di vita) offerto dalla società.

Questo può essere forse un ostacolo che ti blocca, così che ciò che hai letto finora rimangano solo parole?

No, no di certo. Si comincia sempre da semplici azioni. Cambiare ambiente significa anche cambiare stile di vita. Se io decido di licenziarmi e con i soldi della liquidazione acquisto una piccola casetta sperduta tra le colline ho dato avvio a un mutamento. Prima trascorrevo otto, nove ore in un luogo chiuso, magari saturo di sostanze chimiche, inquinamento acustico, persone infelici… Ora invece trascorro otto ore a passeggiare nei boschi, a inseguire le lucertole, a dormire sui prati, a scalare le rocce, a sistemare la stufa… Vivo nell’aria, sotto il sole e le nuvole, alle mie orecchie non giungono rumori molesti e ripetitivi, i miei occhi possono alimentarsi di spazi aperti, l’ambiente è stimolante, in armonia con le mie caratteristiche i miei pensieri non sono contaminati dall’insoddisfazione altrui.

Capisci? Nell’aver modificato il mio stile di vita ho modificato il luogo in cui vivo. Anche una semplice corsa all’aria aperta cambia l’ambiente in cui vivi, tre o quattro ore alla settimana che sia.

Come sempre ti linkiamo la strada per cambiare il proprio stile di vita. L’abbiamo messa a disposizione di tutti dopo un grande lavoro durato anni.
Si parte da una passeggiata e ci si ritrova a vivere ai Caraibi. E non è certo fantasia, credimi. Dipende solo da quanto desideri essere libero e felice. Non come farfalle 🙂 come esseri umani. Se hai voglia di vivere veramente o se ti sei arreso/a a quello che chiamano ancora vita.

Quando pensi ho voglia di questo o di quello, ricorda, non sei tu ad aver voglia di questo o di quello; perché è solo dopo aver valicato il muro delle abitudini e delle dipendenze che potrai cominciare a districarti tra i tuoi veri desideri.

Studiati VS asini

L’esperimento di Libet potrebbe direzionarci in una strada che, in parte, non vuole credere al libero arbitrio, perché quando non c’è consapevolezza non può esserci nemmeno scelta. Ed è strano che un esperimento scientifico porti a credenze prive di fondamento scientifico quali il destino, di solito succede il contrario.

Lo schieramento a favore di teorie fataliste, usualmente si riscontra nell’individuo con un percorso scolastico breve o conflittuale. Più in armonia con filoni metafisici e spirituali. Una concezione della vita più distante dal predestinato invece rispecchia un personaggio più scolarizzato, acculturato, accademico e più affine a credere alle teorie che provengono dall’ambiente scientifico.

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Stessa differenza la possiamo trovare magari tra uomo e donna. A mio giudizio conta molto più l’impronta sociale che quella biologica, ossia come i due sessi vengono istruiti diversamente. Se quindi le donne, dalla mentalità più romantica ed emotiva, sono più portate a sposare una credenza fatalista, gli uomini, dalla mente più razionale e scientifica, camminano verso quella del libero arbitrio. Se a un matrimonio lo chiediamo alla sposa, ci dirà che loro due erano destinati a incontrarsi. Se lo domandiamo al marito, ci dirà che loro due hanno scelto di sposarsi. Nel complesso ci si può accertare di questo fatto anche se cerco di stare lontano dalle generalizzazioni.

Libero arbitrio VS destino

Da buon “soldato”, per rispettare la mia fazione sono più a favore del libero arbitrio, anche se, come vedremo dopo, esso non esiste più.

Non è stato solo un pensiero di tipo logico a farmi preferire un pensiero più attivo e responsabilizzante, non solo prettamente la parte razionale, ma anche l’insieme delle sensazioni, delle emozioni ecc.

Qual è il senso della vita in un’esistenza privata del libero arbitrio? Quale può essere il senso della vita in un gioco già programmato? Dove sarebbe il divertimento? Cioè: che senso ha percorrere una strada priva di vere scelte? Dove finisce l’improvvisazione, l’ordine del caotico, l’eterno mutare del tutto?

Questo tipo di credenza scredita il magnifico pensiero di Eraclito, il filosofo del divenire, del Panta rei. Tutto scorre, tutto è in continuo divenire. La realtà è il fiume che scorre nell’eterno mutamento, è il miscuglio caotico degli opposti che forma l’armonia ordinata. Se tutto dovesse essere già scritto, tutto ciò non avrebbe alcun senso. La stessa scelta quotidiana sarebbe un’illusione: pensiamo di decidere ma è il destino a farlo per noi.

E allora perché la vita? Perché il tutto ha creato l’essere vivente e l’essere vivente cosciente? Molti dei nostri discorsi cercano di responsabilizzare la singola persona. Al contrario, la credenza fatalista la rende più passiva. Credere al destino può solo portare al passivismo e al pessimismo.

Se tutto è già scritto e non puoi farci nulla perché ti alzi ancora la mattina? Perché cerchi di lottare contro gli imprevisti? Per quale scopo vivi? Non si tratta forse di lottare contro i mulini a vento? Una maggior responsabilità verso noi stessi invece ci rende attivi, e questo accresce le esperienze, i risultati desiderati, l’evoluzione. Tutti i nostri discorsi sul creare la propria realtà cadrebbero in un istante.

Serie consigliate: Gioca con la realtà e Crea la tua realtà.

Lo sai perché non credo al destino? Perché nel momento stesso in cui dico credo al destino ho appena compiuto una scelta. Anche la mattina, appena mi sveglio, scelgo più o meno consapevolmente di non indossare la maglietta al contrario.

Perché siamo nati?

Se invece diamo per certo il libero arbitrio, quale può essere allora il senso della vita, in particolare della nostra vita come esseri umani? Per quel che ne sappiamo dell’universo, o del mondo, noi siamo l’unica parte del tutto a possedere un così alto grado di coscienza. Questa caratteristica, questa libertà è così strabiliante quanto pericolosa. L’uomo infatti è l’unica parte del puzzle ad aver occupato tutto il globo e ad aver modificato se stesso e l’ambiente. Non voglio mettere l’essere umano al di sopra degli altri esseri, ma è innegabile, per chi possiede un minimo di conoscenza, ammettere la nostra marcata diversità rispetto al resto del creato. Il mio non vuole essere un discorso antropocentrico, né vuole dare il diritto all’uomo di poter fare ciò che vuole nel mondo e col mondo.

Per cominciare a rispondere alla domanda, credo che il libero arbitrio sia la più grande manifestazione della follia e della magnificenza della natura. Anche noi umani siamo natura, ma siamo l’unico tassello che può decidere (anche) di autodistruggersi. E questo oggi lo possiamo vedere. Ma perché rischiare così tanto, perché il tutto si è preso questo rischio nel creare l’essere umano? Per la propria auto-consapevolezza e conoscenza di sé.

Noi siamo quella parte del tutto che si auto-conosce, che sa di essere viva, che vede se stessa. E questo è fantastico. Tuttavia, quando venne creato l’alto, per la legge naturale dell’equilibrio, comparve il basso. A conclusione della risposta (o meglio, a una delle risposte) di questo articolo: il senso della vita umana è auto-conoscersi in modo che l’universo conosca se stesso. Sono paroloni, ma è ciò a cui sono giunto. Noi siamo l’universo che conosce se stesso.

Il libero arbitrio non esiste

La mia natura non è di certo pessimista. Se ad esempio, tra i vari articoli, ti capita di imbatterti in alcuni come questo, te ne renderai conto. Comunque, non sono nemmeno una persona a cui piace illudersi o voltare lo sguardo quando vedo che qualcosa non rientra nelle mie convinzioni. Il mondo è diventato una discarica, regnano l’insoddisfazione e la sofferenza e, se come dicevo prima, sembra che non tutto sia già stato scritto, nemmeno il libero arbitrio può esistere più.

Ma come? prima scrivi che il destino non esiste e ora scrivi che non esiste nemmeno il dono della scelta? È proprio quello che ho detto. È però necessaria una precisazione: il libero arbitrio non è stato estirpato del tutto dalla natura umana, ma dato che l’uomo è stato modificato, assieme ad altre caratteristiche, anche il libero arbitrio si è atrofizzato.

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Qual è il senso della vita, un’ultima risposta

Con ciò mi ricollego agli esperimenti di Libet. Questi hanno dimostrato che non è l’uomo a scegliere, perché “sceglie” in modo del tutto inconsapevole. Per come abbiamo ridotto il mondo, modificato l’ambiente in cui viviamo e di ritorno noi stessi, si può affermare che oggi il libero arbitrio non esiste. O almeno, esiste in esigua misura in un numero ristretto della popolazione mondiale.

Nei moderni agglomerati che chiamiamo città, il libero arbitrio è stato quasi completamente sostituito da una sorta di destino. Se sei stato attento, mi sto riferendo alle decisioni che il sistema prende per noi. Diciamo che, in un determinato tipo di ambiente, è molto probabile che tu compia un determinato tipo di azioni. Il comportamento di un individuo sarà molto simile a quello degli altri. Saranno così tutti destinati ad un certo tipo di esistenza e di trapasso.

Per concludere questo scritto: fino a quando non faremo riaffiorare questa nostra umana peculiarità, saremo destinati a una vita senza senso. Ecco qual è il senso della vita oggi: riprenderci la responsabilità di decidere come vivere, perché la sofferenza di una vita distorta, in verità mancata, la stiamo provando tutti.

È uno strano dolore. Morire di nostalgia per qualcosa che non si vivrà mai (Baricco).

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2 commenti su “Qual è il senso della vita? Destino VS Libero arbitrio”

  1. Ciao Andrea, in generale ho trovato molto interessante il tuo articolo e sono sostanzialmente in accordo con te sulla maggior parte delle considerazioni sui punti che hai analizzato. Non molto mi convince invece quello che tu definisci “destino” per quanto sia inteso nella sua accezione filosofica più moderna e, dunque, distante dalla definizione di derivazione divina che se ne dava in passato accostandolo al fato. A mio modo di vedere, occorre più concepirlo come Predeterminazione, ossia l’agire incosciente derivante da un insieme di fattori quali ambiente in cui si vive, famiglia di origine, e quindi educazione ricevuta, strutture sociale del contesto in cui si vive nonchè esperienze pregresse di vita. Secondo punto che mi lascia un pò nel dubbio è quello della strada che tu indichi come da seguire se si intende tornare ad impadronirsi di un totale libero arbitrio, che non sia più quello fittizio dettato dalla società attuale che ci illude solo del potere di fare delle scelte. Nonostante sia sicuramente un attività rigenerante per l’essere umano quela di ritrovare il contatto con la terra e riconciliarsi con la natura (come sosteneva essere indispensabile il poeta romantico William Wordsworth), non rischia di essere appunto un concetto un pò troppo “romantico” per i tempi che corrono? Mi spiego, l’evoluzione, quella darwiniana, che prosegue imperterrita di generazione in generazione ci ha certamente portato ad adattarci ad una società opprimente, costituita, almeno per la maggior parte di noi, da strade già belle battute dinanzi a noi sin da quando siamo piccoli, ma che comunque ci hanno plagiato alla ricerca continua di nuovi stimoli, obiettivi da raggiungere e cazzate del genere; ora non pensi che un essere umano con questa forma mentis, per quanto determinato a sradicarsi da questo contesto e come tu dici cambiare ambiente, si riveli comunque essere un pesce fuor d’acqua se catapultato in uno stile di vita del genere? la passegiata nel bosco e la cura della stufa lo soddisferanno per tutta la vita o può essere che a lungo andare finisca col cercare qualcosa di nuovo, di più stimolante?

    1. Benvenuto Emanuele. Il tuo commento mi è davvero piaciuto, intelligente e argomentato. Non se ne vedono molti. Ora rispondo alle tue domande.
      Hai ragione sull’interpretazione di destino. Cioè, ho introdotto nel discorso la concezione comune del destino: una qualche forza non precisata che dall’alto guida il disegno di ogni cosa. Se avessi dovuto addentrarmi anche nella parola destino l’articolo sarebbe risultato infinito 🙂
      Ma forse potrebbe essere uno spunto per un post futuro.
      Per rispondere alla seconda parte del tuo messaggio, non credo che sia una strada troppo “romantica”, forse l’obiettivo finale può esserlo, ma la strada non credo.
      Mi spiego, e prima di farlo premetto che non credo nell’evoluzione Darwiniana, fin da bambino non ci ho mai creduto, e in questi decenni è stata smentita (scientificamente) più volte.
      Ciò che cerchiamo di far capire in questo progetto è che ogni creatura possiede determinate caratteristiche e un determinato habitat che si sposa con queste. Come lo stambecco ha il bisogno/piacere di arrampicarsi, e l’aquila di battere le ali, l’uomo ha dei bisogni/piaceri primari che gli sono stati sottratti e sostituiti con altre tipologie droganti (ossia che provocano dipendenza e danni collaterali). Ad esempio il vivere in spazi aperti, il solo fatto di non poter lasciar libera la vista genera degli stress inconsci che ormai abbiamo dimenticato. Oppure il muoversi in un luogo naturale e stimolante, il bisogno/piacere di poter espletare le proprie funzioni quando ci va e non quando siamo costretti.
      Ma, due peculiarità atrofizzate che differenziano l’uomo dalla altre specie sono la possibilità di scegliere in modo autonomo e la creatività, creare il nuovo. Ciò che cerco di dire è: se vengono annullate le caratteristiche primarie di una specie cercando di sostituirle con altro per compensare, quella specie non può di certo essere felice, perché sta vivendo una vita non “programmata” per quella specie.
      E questo lo vediamo ogni giorno. Il fatto di non poter scegliere liberamente come vivere la propria vita genera sofferenza. È come l’esempio del canarino in gabbia. Ha tutto ciò che gli serve, acqua, cibo, compagnia magari. È cresciuto in gabbia, eppure, se il padrone la dimentica aperta, il canarino se ne va. Ha paura, ma per qualche motivo c’è un qualcosa che lo spinge a scappare dalla gabbia. Stessa cosa succede all’uomo, anche se la nostra gabbia è molto più articolata e sofisticata.
      Capisco cosa vuoi dire, un uomo cresciuto nella società moderna di oggi non può pretendere dall’oggi al domani di andare a vivere in una capanna o nella giungla. Si tratta di un percorso. Il mio intento non è quello di tornare all’età della pietra, ma di fare un percorso “inverso” verso il futuro. Facendoci guidare dalle conoscenze attuali. Non definisco questa strada romantica perché ognuno può decidere le tempistiche di cui ha bisogno. Se un sistema di vita ci rende inumani e quindi infelici, è semplice capire che più ci si allontana da esso più abbiamo benefici. Tutto qui.
      La parola chiave è: gradualità. Passo dopo passo ci si può ritrovare in un contesto più naturale e più felice. E la miccia di questo può essere stata un’azione banale, un solo pensiero. Come dicevo: una semplice corsa giornaliera all’aria aperta può dare il via a questo tipo di percorso. A mio avviso è inutile continuare a mettere cerotti tecnologici alle ferite che la stessa tecnologia ha inferto nel passato. Riguardo alle tue domande e alla mia risposta, voglio consigliarti due articoli che chiariscono meglio la questione: https://projectexcape.it/sentirsi-felici/
      E: https://projectexcape.it/non-sono-felice/

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